Il Contenuto Scabroso di questo Post è consigliato a un pubblico Adulto, si sconsiglia la lettura ai minorenni e agli animi sensibili.
La Rivincita delle Eroine by Juneross Blog
Perciò eccola in fuga come l’ultimo degli spacciatori.
Uscì con circospezione da dietro la colonna e subito si ritrasse: c’era del movimento, sentiva il rumore di passi pesanti nell’atrio; sembravano piedi calzati da anfibi: Oddio, erano arrivati!
Sgattaiolò in un altro corridoio e procedette in punta di piedi; si sporse oltre l’angolo e scorse il sorvegliante dell’albergo.
Un bel pezzo di manzo, l’aveva già notato fin dal primo giorno e ci aveva fatto un pensierino.
Ma ora era meglio soprassedere. Aprì silenziosamente la porta di uno stanzino e cercò di entrare senza far rumore; cominciò a richiudere la porta pian pianino, ma quel dannato pezzo di legno scricchiolò. Il rumore risuonò nel silenzio come un urlo.
Il sorvegliante voltò la testa di scatto nella sua direzione; per un attimo sembrò fiutare l’aria, poi marciò deciso verso lo stanzino.
Lei si appiattì dietro la porta; afferrò freneticamente il primo oggetto pesante che trovò- un grosso scopettone- e sperò che passasse oltre. Non lo fece. Cautamente il sorvegliante infilò la testa oltre la porta. Lei strinse i denti e gli calò lo scopettone sulla nuca con tutte le sue forze. Quello crollò a terra come un sacco vuoto. Velocemente, lo afferrò e con fatica lo tirò dentro, poi chiuse la porta.
Bene, ecco un altro problema: che doveva farne di un uomo svenuto? Se si fosse svegliato, la sua fuga sarebbe finita lì.
Si guardò intorno: era nello stanzino delle scope. Afferrò alcuni stracci, scelse i più robusti e legò ben bene il sorvegliante ad un pesante scaffale, mani e piedi, poi gli cacciò un altro straccio in bocca. Ecco, per il momento era a posto.
Fuori alla porta c’era una gran confusione: la stavano cercando! Non poteva uscire, era prigioniera in uno sgabuzzino con il bel sorvegliante. Spinse un altro scaffale davanti alla porta e si dispose ad aspettare.
Fissò il suo prigioniero con interesse: aveva una bella faccia, pelle abbronzata con appena un’ombra scura di barba, fiero naso aquilino e i capelli che gli ricadevano sulla fronte erano nerissimi; gli occhi, lo sapeva, erano scuri e vellutati. Il corpo era degno del viso, con spalle tanto larghe che la camicia sembrava stentare a contenerle, gambe lunghe e muscolose e fianchi stretti.
Un’idea pazzesca le balenò nella mente: e se…. Cercò di scacciarla, ma era inutile. Si leccò le labbra: perchè no? Tanto, più nei guai di così…. tanto valeva ricavare qualcosa da quell’assurda situazione.
Si avvicinò a lui e si inginocchiò; dopo aver controllato che non potesse muoversi, gli accarezzò i capelli; scese ad accarerezzare il collo, poi le spalle. Presa da una smania improvvisa, gli aprì di colpo la camicia facendogli saltare i bottoni. Si abbassò a lambirgli il petto con la lingua. Un movimento improvviso le rivelò che il suo prigioniero si era svegliato. Lo guardò: i neri occhi la fissavano strabuzzati dalle orbite, sembrava che non potesse credere a ciò che stava accadendo. Lei sorrise, ma non si fermò. La situazione la eccitava.
Gli aprì anche i pantaloni e vi insinuò le mani, continuando ad accarezzare. Lui mugolò qualcosa, ma lo straccio gli impediva di fare di più.
Lei afferrò la stoffa e tirò forte, strappando pantaloni e slip; lui sembrava terrorizzato, ma così non poteva andare.
Cominciò ad accarezzarlo fra le gambe, a lungo e sapientemente; lui cominciò a sudare.
Quando lo vide pronto, si abbassò le mutandine e gli si mise a cavalcioni: quando lo sentì dentro di sè, pensò che era la miglior cavalcata della sua vita!
Non durò a lungo; lei pensò principalmente al proprio piacere. Con un sospiro soddisfatto scese dal suo corpo e si rassettò.
Lui emise un mugolìo sordo: forse voleva che lo ricoprisse. Lei fece un ghigno: ma guarda che pretese!
Sbirciò fuori dal finestrino, constatando che la via era libera.
Afferrò la borsa e si mise a cavallo del davanzale. Il suo prigioniero la stava guardando con furia omicida:
“Grazie di tutto, bello, mi ricorderò a lungo di te!”
Poi si lasciò cadere su un cespuglio e cominciò a correre a perdifiato.
Succuba
by Giusy Berni (Lady Akasha)
Il terrore gli attanagliò lo stomaco in una morsa, mentre la bile si riversò nel suo esofago.
Rimase immobile, finché non finì.
Cosa gli aveva iniettato?
La fissò in viso per la prima volta e si accorse che era coperto da una maschera.
Vigliacca.
Rimase seduta al suo fianco osservandolo attraverso le fessure di quel schermo di seta nera che copriva il viso della sconosciuta.
Senza aggiungere parole, senza badare allo sguardo terrorizzato della sua vittima, cominciò a sfiorare il suo torace.
Non era un uomo gigantesco, ma si teneva in forma in palestra con regolarità per mantenersi tonico.
Quando si accorse che il pene stava cominciando a ingrossarsi senza che lui provasse dentro di sé alcuno stimolo o desiderio per la sua aguzzina, si rese conto di quale fosse il destino che gli aveva assegnato.
«No!». Esclamò inorridito dalle reazioni incontrollate del suo corpo.
«Oh si». Sussurrò la donna mettendosi a cavalcioni sul grembo, strofinando la vagina sul membro ormai eretto.
Cercò di togliersela di dosso, sgroppando disgustato da quel corpo sfigurato e dalla situazione di umiliante dominio che stava vivendo.
Ma sembrava che quei gesti servivano solo a eccitarla ulteriormente, lo comprese dall’orgasmo che la stava cogliendo in quel momento.
«Sei bravo». Lo sbeffeggiò con ironia.
«Sei pietosa. Una donna che è costretta a tutto ciò per farsi scopare, non è una donna». A quelle parole ingiuriose, lei lo colpì con un pugno in viso, facendogli sanguinare il naso.
Senza rispondere alla sua provocazione, afferrò il pene rigido e lo infilò nella sua vagina bagnata.
Voltò il viso per non vedere quella femmina repellente usarlo come un oggetto, cavalcarlo con energia per procurarsi un orgasmo.
Alla fine anche il suo corpo rilasciò il seme nonostante lui avesse cercato d’impedirlo, ma qualunque sostanza gli era stata iniettata lo aveva reso succube di quella perversione.
Alla fine, stremata si adagiò su di lui.
«Ho finito. Sei durato più di altri. Mi complimento con te». Lo blandì con melliflua dolcezza alzandosi dal letto, e avviandosi verso il bagno.
Ne uscì dopo venti minuti, vestita e con sempre la maschera al suo posto.
Si avvicinò di nuovo all’uomo incatenato, sfiorò il viso tumefatto, e rise quando lui si scostò risentito.
«Non temere, qualcuno verrà a liberarti». E con queste parole lasciò la casa e la sua vittima senza nessun rimorso.
Lacrime di rabbia colmarono gli occhi dell’uomo, l’umiliazione per quell’atto immotivato, e il pensiero che presto ci sarebbero stati testimoni della sua mortificazione lo fecero piangere come un bambino.
Un grido dolore scaturì dalla sua gola, mentre si rendeva conto che nulla sarebbe stato come prima.
Commenti recenti